Milano, 18 febbraio 2015 - 10:02

Radiologia interventistica, l’arma
in più contro i tumori (e non solo)

Molti pazienti non la conoscono e non la sfruttano. Ma è sempre più utile per curare in modo mininvasivo vari tipi di cancro, fibromi, varicocele, vertebre e arterie

di Vera Martinella

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Precisa ed efficace come un intervento chirurgico, ma molto meno invasiva. La radiologia interventistica è già una realtà da diversi anni e prende sempre più piede nella cura dei tumori ma non solo. Basti pensare alla chemioembolizzazione per il trattamento del tumore al fegato, alla scleroembolizzazione del varicocele, all’angioplastica o stenting delle arterie degli arti inferiori per il trattamento della patologia ischemica da arteriosclerosi o da diabete. «Sono moltissimi gli esempi di interventi fatti mediante la guida e il controllo delle metodiche radiologiche – spiega Franco Orsi, direttore della neonata Divisione Clinica di Radiologia Interventistica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano -. Ad oggi in Italia si contano circa 95mila procedure di radiologia interventistica fatte ogni anno, ma sarebbero almeno il doppio se queste “mini-operazioni” fossero censite come le altre attività ospedaliere. E le stime europee prevedono che questi numeri quadruplicheranno entro il 2020».

Cos’è e quando può sostituire la chirurgia

La radiologia interventistica nasce per sviluppare tecniche meno invasive rispetto alle metodiche chirurgiche standard, ma capaci di produrre gli stessi risultati clinici. Affidando la propria estrema precisione alla guida strumentale (angiografia, ecografia, tac, risonanza magnetica, fluoroscopia) queste tecniche permettono di effettuare trattamenti mirati raggiungendo la sede della malattia attraverso le vie naturali (sistema urinario, digestivo, vascolare) o con un accesso diretto all’organo malato, rapido e senza rischi. L’obiettivo non è sostituire la chirurgia (una cosa possibile solo quando le metodiche di radiologia interventistica siano in grado di ottenere gli stessi risultati di un’operazione, ma con minore invasività), ma affiancarla come valida alternativa in particolare quando l’intervento tradizionale comporta rischi superiori per le condizioni di salute o l’età del paziente o quando le tecniche standard non possono essere impiegate mancanza di strumenti e tecnologie.

Quando si usa in oncologia

«Per quanto riguarda i tumori - continua Orsi -, in Ieo usiamo la radiologia per il trattamento percutaneo del piccolo tumore renale, grazie al quale oggi è possibile eliminare le formazioni neoplastiche fino a 35 millimetri, evitando la chirurgia. Oppure l’embolizzazione della prostata per il trattamento non-chirurgico dell’ipertrofia prostatica». Altri possibili campi d’applicazione in oncologia sono il trattamento delle metastasi polmonari in alternativa alla chirurgia o del tumore primitivo nei pazienti critici e il trattamento percutaneo dei tumori epatici, sia primitivi che metastatici, con la termoablazione, oggi considerata in molti casi uno standard di cura. Troppi malati non sanno che esiste Secondo il censimento presentato nei giorni scorsi allo Ieo, però, circa la metà (45 per cento) dei centri italiani di radiologia interventistica è collocata nel contesto di un servizio di radiologia diagnostica, senza una precisa configurazione a sé e solo il 9 per cento una ha completa autonomia operativa e gestionale. Senza considerare che molti pazienti candidabili a tecniche alternative ai tagli chirurgici spesso non conoscono l’esistenza della radiologia interventistica e dunque perdono la possibilità di curarsi. «Persino chi ha già usufruito di queste terapie innovative non di rado ne ignora il ruolo nel proprio iter di cura e non conosce neppure l’identità di chi l’ha curato (un medico radiologo, esperto in imaging e in processi clinico-chirurgici, ndr) - continua Orsi -. Serve un riconoscimento ufficiale della radiologia interventistica come disciplina autonoma, ecco perché è appena nata la Società Italo-Europea di Radiologia Interventistica, prima società scientifica dedicata nel nostro Paese a questa branca della medicina».

Per la cura di fibromi e varicocele, vertebroblastica, stent e angioplastica

Tumori a parte, le metodiche di radiologia interventistica vengono impiegate anche nel trattamento dei fibromi uterini: attraverso le arterie uterine è possibile interrompere il flusso ematico ai fibromi determinandone la morte e quindi il controllo dei sintomi. In questo modo è spesso possibile evitare inutili e dolorose isterectomie, soprattutto nelle donne giovani e ancora fertili. C’è poi la vertebroplastica, terapia percutanea che consente di irrobustire le vertebre indebolite dall’osteoporosi (oppure dal tumore), evitandone il cedimento strutturale. O, ancora, nella terapia del varicocele maschile attraverso i vasi, mediante un minuscolo foro cutaneo, è possibile occludere i vasi venosi responsabili del varicocele. In ambito cardiovascolare, infine, le applicazioni della radiologia interventistica sono numerosissime e ben consolidate come terapie standard. C’è il trattamento del piede diabetico per ristabilire il flusso arterioso periferico (ed evitare le amputazioni delle dita dei piedi) e quello non chirurgico dell’aneurisma aortico (attraverso l’approccio percutaneo e non chirurgico in molti casi è oggi possibile riparare gli aneurismi aortici inserendo delle “protesi”). Senza dimenticare la diffusissima terapia delle stenosi arteriose, quei restringimenti dei vasi arteriosi, spesso causate da fumo e ipercolesterolemia, curate con l’angioplastica o lo “stenting”.

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